Venti anni di indagini, rivelazioni, depistaggi… Così Borsellino continua a essere ucciso e noi siamo condannati a non sapere mai la verità. A Paolo Borsellino piaceva citare liberamente dal Giulio Cesare di Shakespeare una frase secondo cui “è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
È un paradosso terribile che questi vent’anni abbiano condannato proprio lui a morire molte volte, ucciso in innumerevoli versioni da colpevoli sempre diversi, in un susseguirsi di colpi di scena che ha ormai disorientato anche i più attenti: “È stato Scarantino. No, Spatuzza. È stato Riina; no, i fratelli Graviano. È stato lo stato, lo stato mafia, la mafia stato; il doppio stato. È stato Berlusconi, o perlomeno Dell’Utri. Sono stati i servizi. Deviati. No, quelli ufficiali. Sono stati Ciancimino e Provenzano. Sono stati gli industriali del Nord. È stato il ministro Mancino. Sono stati i carabinieri”.
Il fatto è che l’omicidio di Borsellino è ormai diventato uno di quei buchi neri della storia italiana, simile in questo all’affaire Moro, in cui come in un gorgo si annodano e si raccolgono tutti i misteri, i protagonisti, le inconfessabili verità di un momento storico e di un paese che ha sempre avuto molto da nascondere, in primo luogo a se stesso.
“Tale è stato il destino del nostro eroe; e l’Italia non è un paese per eroi. La ricerca della verità sul suo assassinio implicava un contributo di onestà, che è stata soffocata. Difficile che si possa recuperare il tempo perduto, perché ormai quella stessa ricerca della verità è strettamente connessa (i luoghi, i palazzi di giustizia, i contesti) con la ricerca delle ragioni della disonestà di chi doveva cercarla. E dunque, diventa un’impresa quasi impossibile.”
Ma quello che è possibile fare è scavare nel mosaico sepolto, separare le tessere vere da quelle false, ripulire, rimetterle in ordine e raccontarle. È ciò che Enrico Deaglio ha fatto in questo libro.
Scritto da giorgio il 02/02/2022