Questo capitalismo è in crisi. È sotto gli occhi di tutti. Il debito pubblico è alle stelle, non solo in Francia o in Italia, dove siamo abituati a sentircelo dire, ma anche negli USA e perfino in Cina.
Sì, proprio quella Cina che da traino dell’economia mondiale rischia ora la recessione, a causa di una bolla immobiliare pronta a esplodere e le cui dimensioni saranno ancora più grandi di quella americana che è stata all’origine dello tsunami dei mutui subprime.
Di fronte al disastro, governi che prestano ascolto alle società finanziarie ben più che ai loro cittadini continuano a perpetuare le stesse ricette, rischiando così di aggravare la situazione perché intanto precarietà e disoccupazione aumentano – e precari e disoccupati non possono certo contribuire né al pil né alla crescita.
In un simile scenario, chi guadagna? Solo banche, finanza, grandi rendite, grandi azionisti. Per decenni, l’economia occidentale ha prosperato in un rapporto tra le retribuzioni dei top manager e quelle dei lavoratori all’incirca di 20 a 1.
Ma se oggi si arriva a 200 volte e più, è chiaro che il sistema non può reggere. È giunto il tempo, finalmente, di inquadrare correttamente i problemi. Di ribadire che la disoccupazione non è solo conseguenza, ma è soprattutto causa della crisi.
Di constatare quanto redditi e benefici fiscali si siano spostati verso i segmenti più ricchi e ristretti della società a discapito dei ceti medi, grazie alla favoletta che questo avrebbe creato investimenti, occupazione, benessere diffuso.
La situazione è grave, più grave di quanto ci dicono. Eppure possiamo uscirne.
Scritto da Isabella il 07/04/2022