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Presentazione di Saverio Giovanni Condò (Professore Ordinario titolare Cattedra di Materiali Dentari, Dipartimento di Scienze Cliniche e Medicina Traslazionale, Università di Roma “Tor Vergata)
Quante Medicine esistono?
È questa la domanda che più frequentemente viene rivolta a chi ha deciso durante la sua vita professionale di medico, sanitario o ricercatore, di intraprendere le strade delle cosiddette medicine complementari o CAM, nella dizione anglosassone. Sul fatto che si tratti di argomentazioni mediche o affini, siamo tutti d'accordo ma complementari o alternative a cosa?
Molto probabilmente questa contraddizione in termini, deriva da quella leggera imprecisione di intendere ed esplicitare il concetto di salute. Leggere un'immagine digitale ad alta risoluzione in 3D davanti al monitor di un computer, spesso non corrisponde affatto al valutare in toto lo stato di salute del paziente.
I movimenti e i manifesti culturali di umanizzazione delle cure emersi negli ultimi anni, con l'intento di colmare almeno in parte, il gap formativo delle nuove generazioni di medici ed operatori della salute, formati dalla didattica medica ortodossa nelle università, hanno provveduto in parte a fornire un rinnovato punto di vista sul malato e, conseguentemente, sul suo disagio.
La rappresentazione di organi, quali ad esempio il cuore o il fegato, restituiti dalle risonanze di una sonda ecografica, dovranno pur appartenere ad un essere umano e come tale depositario di un complesso ed intricato background antropico e culturale.
Le medicine cosiddette complementari, partendo da una visione soggettiva del concetto di malattia, pongono in primo piano l'essere umano come persona, con il suo intero bagaglio esperienziale. Molto probabilmente risiede proprio in questa disparità di visione, la nascita della dicotomia (apparente) tra medicina allopatica o biologica e le medicine altre o complementari.
La medicina è una ed una soltanto. Qualunque sia il punto di vista dal quale si intende partire, occorrerà sempre tenere presente che la malattia è una caratteristica del malato, una persona appunto, e che ogni malato classificabile secondo le più svariate forme di cultura o preparazione scientifica, manifesta alterazioni funzionali rilevabili e classificabili mediante l'analisi “impersonale” del corpo biologico.
Anche le medicine cosiddette eterodosse o non convenzionali quindi, riflettono quelle ortodosse nell'applicazione di schemi di analisi forse ben più analitici delle seconde. Cercare di trovare differenze e discrepanze tra le due visioni, produce come risultato solo uno scontro di forze contrapposte, con conseguente stasi e mancanza di confronto creativo-costruttivo.
L'intento di Angela Lia Savino e Ottavio de Clemente autori di questo libro, in ultima analisi, è quello di contribuire ad annullare praticamente le infondate barriere ideologiche che dividono la visione, unitaria per vocazione, della Medicina.
Riflettere con i piedi è di fatto un ossimoro, un accostamento di due termini in forte antitesi tra loro, i quali non potendo essere concepiti dalla mente simultaneamente, risvegliano la responsabilità, richiamando all'analisi critica la consapevolezza del lettore.
Gli autori, integrando ma- gistralmente le conoscenze della medicina biologica con quelle della medicina naturale, connettendole all'unisono mediante l'armonica orditura delle conoscenze antropologiche, riescono a non far percepire durante la lettura del testo, alcuna soluzione di continuità.
Essi si sono posti innanzitutto professionalmente in discussione, confrontandosi nei primi capitoli, con l'analisi dei concetti di salute e malattia, attingendo tanto alla cultura antica classica, quanto a quella umanistica contemporanea.
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Scritto da Vincenzo il 12/07/2020