Momentaneamente
non disponibile
Editoriale
Il morire e il testamento biologico
DOSSIER
Vulnerabilità: condizione di normalità - di Dietrich von Engelhardt
Né eutanasia né accanimento - di Fabrizio Turoldo
L'intervento esamina i temi dell'accanimento terapeutico, dell'eutanasia e del testamento biologico. Si sofferma sul primo, che affronta a partire dal rapporto tra medicina e progresso esponenziale della tecnica. Il concetto di "morte naturale" non aiuta ad individuare il limite da porre all'impiego dell'apparato tecnologico; più utile il concetto di "morte umana", in cui l'uso dei mezzi artificiali non penalizza il bene complessivo del malato. La distinzione tra uso buono e uso eccessivo degli strumenti tecnici della biomedicina non può più essere quella, arbitraria, tra "mezzi ordinari" e "mezzi straordinari". E' preferibile ragionare in termini di mezzi "proporzionati" e sproporzionati", intendendo altresì che è il paziente stesso che deve poter concorrere a valutare il carattere più o meno gravoso della cura. Valutazione da compiersi a un duplice livello: organico (guardando alla situazione complessiva del paziente) ed esistenziale, prendendo cioè in considerazione la sua idea di vita buona e partendo dal principio che nessuno ha l'obbligo di vivere necessariamente più a lungo possibile e che in taluni casi ciò che si rifiuta non è la vita ma il trattamento gravoso. L'autore espone due noti casi di pazienti che hanno compiuto differenti valutazioni circa la vita buona ricercata.
A tutela del paziente e del medico - di Ignazio Marino
L'autore riferisce sul dibattito in corso nella Commissione Igiene e Sanità del Senato italiano, da lui presieduta, riguardante l'introduzione nell'ordinamento giuridico dell'istituto delle dichiarazioni anticipate di volontà relative ai trattamenti sanitari (testamento biologico). Attualmente, nonostante che l'art. 32 della Costituzione affermi la libertà di autodeterminazione nella cura e nella terapia e che il codice deontologico medico del 2006 obblighi il medico ad astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici privi di beneficio per il malato, permane una lacuna normativa, risoltasi nella realtà con un affidamento della decisione alla sensibilità del medico e alla prassi. La normativa sul testamento biologico, che in alcun modo intende legittimare l'eutanasia, vuole essere uno strumento a garanzia della libera autodeterminazione nelle cure e nelle terapie, contro l'accanimento terapeutico, con una estensione nel tempo del diritto al consenso informato, già oggi riconosciuto; è altresì a tutela del medico, oggi lasciato solo nella decisione. I punti critici del dibattito riguardano la natura del vincolante delle dichiarazioni anticipate e la risoluzione delle controversie possibili tra il fiduciario, che agisce come esecutore delle dichiarazioni anticipate, e i familiari; controversie la cui risoluzione potrebbe spettare ai comitati etici.
Al centro la relazione di cura - di Adriano Bompiani
Il testo richiama, con una presentazione puntuale ed analitica, i contenuti del dibattito svoltosi nel Comitato Direttivo per la Bioetica del Consiglio d'Europa in merito alle "Dichiarazioni anticipate di trattamento". Un lungo dibattito i cui risultati sono stati trasferiti nell'art. 9 della "Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina" (nota come "Convenzione di Oviedo", 1997). A tale art. 9 si ispira il documento "Dichiarazioni anticipate di trattamento" approvato in seduta plenaria il 18 dicembre 2003 dal Comitato Nazionale di Bioetica, riconoscendo forza alla "Dichiarazioni di volontà" del paziente riguardo le modalità di assistenza/cure gradite.
Il dolore e la paura di morire - di Vittorio Ventafridda
La presa di coscienza dell'importanza delle cure palliative è in crescita, benché ci sia ancora una scarsa considerazione del ruolo di quella parte di medicina che riguarda l'essere umano nei suoi ultimi giorni di vita. La cure palliative si esplicano attraverso l'assistenza domiciliare e le strutture hospice. Anche quando la via del morire si presenta difficile, e traumatica per le persone vicine al paziente, la presenza di personale specializzato si rivela fondamentale. Per il morente risulta di grande importanza l'aspetto fisico dell'affetto (tocco, massaggio, abbraccio), il controllo nella decisione della cura, l'igiene personale, la presenza di altri e gli aspetti religiosi e spirituali. Le cure palliative, in un contesto di adeguata educazione sanitaria e di eliminazione della paura e della "privatizzazione" del morire, possono contribuire a rispettare la dignità del malato sino all'ultimo istante di vita.
APPLICAZIONI
Psiconcologo
Elaborare il dramma del fine vita - di Eleonora Capovilla e Irene Guglieri
Medico palliativista
"Difensore civico" del malato - di Giovanni Zaninetta
Magistrato
Colmare un vuoto legislativo - di Daniela Bartolucci
Volontario
Accompagnare a "vivere" il "morire" - intervista ad Anna Mancini Rizzotti a cura di Germano Bertin
Indicazioni bibliografiche
RUBICHE PER AMBITI PROFESSIONALI
Ambiente / Finitezza delle risorse
Alla ricerca di un nuovo equilibrio - di Orietta Casali
La chiave per comprendere la complessità della contemporaneità risiede nella capacità di cogliere la novità nel rapporto uomo-natura, caratterizzato, tra l'altro, dalla velocità impressa dall'innovazione tecnologica. Le crisi ambientali del mondo contemporaneo derivano dall'incapacità di molti sistemi uomo-ambiente di trovare nuove forme di equilibrio; la diminuzione della resilienza sociale e ambientale rischiano di sfociare in forme di collasso. Si assiste ad una riscoperta del concetto di tradizione, ma l'equilibrio tra l'innovazione tecnologica e la riaffermazione dei sistemi tradizionali non è facile da ottenere. Nonostante la presa d'atto dei limiti naturali, lo sviluppo è tutt'altro che sostenibile. È necessario abbandonare il senso di crescita illimitata per ispirarsi al ri-ciclo e al ri-utilizzo.
Economia / Microcredito
E' un diritto l'accesso al credito - di Tommaso Reggiani
Formazione / Il disabile intellettivo
Un "diverso" progetto lavorativo - di Angelo Lascioli
L'autore affronta il problema del rapporto tra "lavoro" e disabilità intellettiva", mostrando come il disabile intellettivo possa effettivamente vivere con profitto l'esperienza del lavoro, in presenza di alcune condizioni, la prima delle quali riguarda la concezione del lavoro, che deve essere concepito non come pura prestazione economica, ma come un'esperienza ricca di significato esistenziale. L'autore presenta, in particolare, le conclusioni di una personale ricerca, svolta negli anni scorsi, che evidenzia i fattori che determinano la tenuta lavorativa del disabile intellettivo. Tra questi appare importante il ruolo delle motivazioni che muovono un'azienda ad assumere un disabile intellettivo. Altri fattori riguardano la capacità relazionale del disabile e il rapporto esistente tra azienda, disabile, famiglia del disabile, e strutture sanitarie del territorio.
Spazio aperto / Responsabilità sociale d'impresa
Funzionale alla crescita economica - di Gilberto Muraro
A partire dalla definizione di responsabilità sociale dell'impresa data dall'UE, come "integrazione volontaria delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate", l'intervento offre una serie di considerazioni sulle motivazioni e sulle modalità di esplicazione di tale comportamento socialmente responsabile. L'impresa che vive nella società non può ignorare garanzie contrattuali, sicurezza nei processi e nei prodotti, tutela ambientale, correttezza, trasparenza e non discriminazione; deve inoltre trovare un equilibrio tra i minori costi derivanti dal produrre all'estero e le esigenze di tutela dei minori e di sicurezza nel lavoro. La crescente sensibilità per queste tematiche da parte di lavoratori e clienti porta l'impresa ad integrare volontariamente, anticipando a volte l'evoluzione normativa, le problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate. La maggiore coesione sociale può diventare fattore di competitività. A fronte di un'azione pubblica che si riduce, si assiste ad un'esplosione del collettivo non pubblico, cioè del non profit e del volontariato. Si parla di "comunità solidale", capace di rispondere alla domanda di protezione individuale attraverso molti canali - pubblici e privati, centrali e periferici - all'insegna della sussidiarietà.
Momentaneamente
non disponibile
La Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina, adottata dal Consiglio d'Europa giusto dieci anni fa, all'art. 9 recita cosí: "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione". Si tratta di una formulazione abbastanza generale, che non indica particolari obblighi per il medico e che tuttavia sottolinea l'importanza di rispettare i desideri formulati in precedenza dal paziente, specie quando questi nella situazione presente non abbia più la possibilità, per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, di esprimere il proprio volere.
Nel dibattito pubblico che in questi ultimi anni si è sviluppato in molti Paesi europei, e non solo, ci si è posti il problema di come poter dar seguito, anche sul piano normativo, al principio testé menzionato. Riprendendo un'espressione inglese (living will), si è cominciato allora a parlare di testamento biologico, nonché di dichiarazioni o disposizioni o direttive anticipate di trattamento. Nel dossier che segue si fa riferimento al morire - già nel titolo - e ci si sofferma sul significato antropologico della morte e della vita, della sofferenza e della vulnerabilità della condizione umana; si richiama, poi, l'importanza delle cure palliative, come nuova frontiera di un impegno medico e sanitario di accompagnamento e di cura del paziente, che non viene mai meno, neppure quando dalle terapie approntate non sia più possibile attendersi realisticamente un miglioramento delle condizioni di salute e tanto meno la guarigione.
E' in questa prospettiva più ampia che va collocata anche la riflessione sul testamento biologico e sugli strumenti giuridici più idonei per garantirne il riconoscimento e l'applicabilità. Con un'avvertenza, che richiede una preliminare opera di chiarificazione semantica: spesso si parla indifferentemente di "dichiarazioni anticipate" o di "direttive anticipate", quando invece a ben vedere le due espressioni non sono equivalenti: la prima è sicuramente più orientativa e meno vincolante rispetto alla seconda. A rigore, quando si parla di dichiarazioni anticipate certo si rinvia al principio del rispetto della volontà del paziente, ma nel contempo s'intende salvaguardare anche il ruolo e l'autonomia professionale del medico; con il linguaggio delle direttive tale ruolo appare ridimensionato, perché l'accento cade sull'autodeterminazione del malato che dev'essere tutelata, rispetto a interventi esterni. Non sempre queste distinzioni concettuali sono tenute presenti adeguatamente e così può accadere che in alcuni dei progetti di legge in discussione attualmente presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato, pur parlando di "dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari", si concepisca il rapporto medico-paziente come fortemente sbilanciato dal lato del paziente, con la figura del medico che è quasi concepita come mera esecutrice delle altrui volontà; al contrario, nel nuovo Codice di deontologia medica l'art. 38 su "Autonomia del cittadino e direttive anticipate" è comunque preoccupato di valorizzare la libertà decisionale del medico.
Per molti aspetti l'espressione "dichiarazioni anticipate" è preferibile: essa sembra rendere conto in modo più completo e appropriato di quell'alleanza terapeutica che dovrebbe contraddistinguere la relazione medico-paziente, anche quando quest'ultimo non sia al momento in grado di esplicitare la propria volontà. Da questo punto di vista lo strumento delle "direttive anticipate" appare essere un'ulteriore articolazione, in situazioni certo di particolare problematicità, del consenso informato; in quanto tale esso dovrebbe rifuggire da interpretazioni riduttivistiche quali quelle che sono riconducibili al paternalismo medico, da un lato, e all'enfatizzazione dell'autonomia del paziente, dall'altro. Anche la questione se le dichiarazioni debbano intendersi come puramente indicative o come rigidamente vincolanti sottintende a ben vedere un differente modo di concepire il rapporto terapeutico, con una maggiore sottolineatura vuoi della figura del medico, a scapito dell'autonomia del paziente, vuoi delle decisioni di quest'ultimo che il medico dovrebbe limitarsi a eseguire.
Nel dossier si sostiene la tesi che il valore delle dichiarazioni non dovrebbe essere né puramente orientativo, né rigidamente vincolante. Tale proposta va letta nuovamente attraverso la cifra simbolica dell'alleanza terapeutica e la centralità del dialogo paziente-medico, che continua a svolgersi e a rinnovarsi, anche quando uno dei due interlocutori non è in grado in quel momento di prendere la parola.
Il Direttore
Antonio Da Re
Momentaneamente
non disponibile
Scritto da giorgio il 02/02/2022