Dopo aver assistito, nel suo Burundi, al massacro di un intero villaggio, Maggy ha deciso di portare in salvo i bambini scappati a quell'orrore. A quei piccoli se ne sono via via aggiunti altri, molti altri.
Oggi Maggy è la donna dei diecimila figli. E la sua storia, una straordinaria testimonianza di coraggio, speranza e amore.
A volte una vita cambia in un attimo. La sua è cambiata una mattina di ottobre, quando, a Ruyigi, nel Burundi precipitato nel vicolo cieco della guerra civile e sconvolto dall’odio interetnico, settantadue persone sono state massacrate sotto i suoi occhi. Ha visto e udito tutto Maggy. Ha udito le grida. Ha visto membri della sua famiglia partecipare al massacro. Ha sentito il crepitio delle fiamme. E poi, come in un miracolo, ha visto la sua figlioccia, Chloe, rifugiarsi tra le sue braccia, sopravvissuta all’inferno. È stato un segno, un barlume di speranza: in quel momento – dice Maggy Barankitse – ho capito che l’odio non poteva vincere.
Ha iniziato quel giorno, prendendo con sé i venticinque bambini scampati a quell’orrore. In un mese erano già più di duecento. Piccoli traumatizzati, sofferenti di gravi forme di insonnia, ossessionati dalle immagini di vicini diventati improvvisamente nemici. Incurante delle minacce alla sua stessa vita, Maggy ha scelto di vivere con loro, con i bambini, di ogni gruppo etnico e nazionalità. È diventata la donna dei diecimila figli. Perché l’odio non doveva avere l’ultima parola.
È QUASI MEZZOGIORNO e sto per atterrare nel Paese che una volta era chiamato «di latte e di miele», il Burundi. Se torno ancora una volta in questa terra sperduta al centro dell’Africa, devastata da dieci anni di guerra civile, è perché lì c’è qualcosa che forse non ho mai incontrato altrove. O, diciamo, mai così intensamente. Perché nel cuore di questo territorio magnifico e desolato c’è una donna che ha fatto crescere dentro di sé la potenza dell’amore, che instancabilmente ha scelto di incarnarne la sovversione e la gioia. Non credo sia una cosa così frequente.
Eppure, quella che tutti chiamano Maggy oppure Oma (nonna in tedesco), pare proprio una donna come le altre. Certo, la grazia del suo sorriso, il calore che sprigiona, la vita da cui è animata, la sua bellezza, la sua generosità si fanno notare. Ma ciò che la rende diversa è altrove. In una specie di mistero che non si lascia afferrare immediatamente, che si scopre a poco a poco, quasi senza accorgersene, e da cui attinge la stupefacente energia che mette in ogni azione, di cui pure non smette di ripetere che non è opera sua.
Ma qual è questo mistero? Sta nella capacità di Maggy di far divampare la luce nonostante la barbarie, nel fatto di scegliere, nel cuore dell’odio, di dire sì alla vita a rischio della propria? È in questa pazienza che anni di lotta hanno forgiato nel profondo del suo essere? Nel suo lavoro su se stessa per dare sempre una possibilità all’altro, anche se ha ucciso, stuprato, saccheggiato, devastato? Mi sono spesso chiesta da cosa dipendesse il sentimento di forza e di gioia che provavo vicino a lei. E ho finito per convincermi che questa alchimia particolare, propria delle creature eccezionali, deriva forse semplicemente dalla loro capacità di aprirsi a un mistero più grande di loro: quello dell’amore, che resta ancora la scelta più rivoluzionaria in assoluto.
Ho voluto essere l’umile testimone di questo mistero e dell’opera che ne scaturisce. Per diffondere le parole e gli atti di una donna che non smette di affermare: «Siamo re e regine, siamo tutti destinati a vivere in un palazzo, ognuno di noi merita il meglio».
Scritto da Isabella il 07/04/2022