Attraverso gli occhi e i racconti del contadino Pietro, questo libro ci accompagna nella storia del mondo rurale del secolo scorso: una realtà fatta di duro lavoro, simile a quella vissuta nel Medioevo.
Laborioso, pragmatico e con un forte senso dell’umorismo, Pietro è un tipico contadino toscano. Ha lavorato la terra con aratro e zappa fin da ragazzo. Nato, come lo esprime lui, “nel Medio Evo”, ha visto il mondo che conosceva ed amava diventare storia passata. Fortunatamente per noi ha messo su carta, con l’aiuto di jenny Bawtree, un resoconto unico di quella cultura contadina che, solo ora che sta morendo, abbiamo cominciato ad apprezzare.
Pietro inizia la sua storia con una descrizione della sua infanzia sotto il regime fascista. La sua famiglia abitava in un podere del Valdarno, ad una cinquantina di chilometri da Firenze e come quasi tutti i mezzadri dell’epoca, viveva in condizioni di estrema povertà. Se si vedeva un contadino soprappensiero si chiedeva: “Stai
pensando ai quattrini del sale?”: oltre ai fiammiferi, il sale era l’unica cosa che il contadino doveva comprare, il resto lo produceva sul podere. Pietro dedica un capitolo intero ad un anno nella vita di un contadino ed impariamo come faceva il vino e l’olio di oliva, come lavorava la terra con i buoi, come foggiava ceste
e scale con il legno di castagno: arti che si stanno perdendo man mano che se ne va la sua generazione.
Ma la vita non era solo fatica, i contadini sapevano anche divertirsi. La musica, la poesia e la narrazione di storielle animavano le loro serate “a veglia” intorno al fuoco, condite di un’ironia mordente. Come dice Pietro, “i Toscani fanno battute perfino sul letto di morte!”. Pietro stesso suonava la tromba, scriveva poesie in ottava rima e diventò famoso localmente per i suoi racconti di contadini, cavalieri e briganti. Anche le cerimonie tradizionali della Chiesa offrivano un diversivo importante. Senza essere un cattolico convinto, Pietro ricorda tali avvenimenti con entusiasmo, anche se diventò comunista dopo la guerra (“Cantavamo «Bandiera Rossa» ma facevamo battezzare i nostri figli, che male c’è?”).
La guerra cambiò poco la vita quotidiana del contadino, ma Pietro se ne ricorda bene, in particolare l’avanzata degli Alleati, nel 1944, quando gli fu offerta la sua prima tazza di tè da un soldato scozzese. Fu dopo la guerra che arrivarono cambiamenti davvero radicali. Alla fine la mezzadria scomparve e Pietro lasciò la sua terra per sempre. Pochi anni dopo lavorava al centro di equitazione gestito da Jenny Bawtree, prima come stalliere e in seguito come cuoco. Nel corso degli anni le ha raccontato la sua vita come contadino ed insieme hanno creato questo resoconto pieno di colore, umorismo e anche di una certa nostalgia.
Tornare indietro? «No di certo» dice Pietro. Piuttosto impegnarsi a salvare quello che c’era di buono, per affrontare meglio il futuro che ci attende.
"La storia di Pietro è anche la nostra. E' per questo che la vogliamo leggere e rileggere, collocandola orgogliosamente nel più importante ripiano della nostra libreria, accanto ai tomi che narrano della vita di Napoleone e di Garibaldi ... tra i libri dei quali non possiamo fare a meno".
Confederazione Italiana Agricoltori
"Un libro ricchissimo, sia per la parte autobiografica che per le memorie del mondo contadino. Ne consiglio una lettura attenta, dalla prima all'ultima pagina".
Dante Priore, studioso di cultura popolare
"Un documento prezioso, dall'alto valore sociale".
Giorgio Valentini, sindaco di Montevarchi
Scritto da Vincenzo il 12/07/2020