Inferno

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Inferno  Dan Brown   Mondadori
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Alla fine di un'avventura che raggiunge momenti di insostenibile tensione, Dan Brown ci rivela come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possano essere questione di punti di vista e anceh da una laguna a cielo coperto si possa uscire a riveder le stelle.

Nei suoi bestseller internazionali - Il Codice da Vinci, Angeli e demoni e Il simbolo perduto -, Dan Brown ha mescolato in modo magistrale storia, arte, codici e simboli. In questo nuovo e avvincente thriller, ritorna ai temi che gli sono più congeniali per dare vita al suo romanzo più esaltante. Robert Langdon, il professore di simbologia di Harvard, è il protagonista di un'avventura che si svolge in Italia, incentrata su uno dei capolavori più complessi e abissali della letteratura di ogni tempo: l'"Inferno" di Dante. Langdon combatte contro un terribile avversario e affronta un misterioso enigma che lo proietta in uno scenario fatto di arte classica, passaggi segreti e scienze futuristiche. Addentrandosi nelle oscure pieghe del poema dantesco, Langdon si lancia alla ricerca di risposte e deve decidere di chi fidarsi... prima che il mondo cambi irrimediabilmente.

 

PROLOGO:
Io sono l'Ombra.
Attraverso la città dolente, io fuggo.
Attraverso l'eterno dolore, io prendo il volo.
Lungo la riva dell'Arno, corro arrancando senza fiato… volto a sinistra, in via dei Castellani, e mi dirigo verso nord,
rannicchiandomi nell'ombra degli Uffizi.
E loro continuano a inseguirmi.
Il suono dei passi alle mie spalle si fa sempre più forte, mi danno la caccia con determinazione implacabile.
Mi inseguono da anni, ormai. Un'ostinazione che mi ha costretto alla clandestinità, a vivere in purgatorio, a lavorare
sottoterra come un mostro ctonio.
Io sono l'Ombra.
Qui, in superficie, alzo lo sguardo verso nord, ma non riesco a trovare una strada che porti alla salvezza… gli Appennini nascondono alla vista le prime luci dell'alba.
Passo dietro il palazzo con la sua torre merlata e l'orologio dall'unica lancetta e in piazza di San Firenze scivolo come un
serpente tra gli ambulanti del primo mattino dalle voci rauche e l'alito che sa di lampredotto e olive al forno. Attraverso la strada davanti al Bargello, punto a ovest verso il campanile della Badia e mi fermo di colpo davanti al cancello di ferro alla base della scala.
È qui che bisogna lasciarsi alle spalle ogni esitazione.
Abbasso la maniglia ed entro nel passaggio dal quale so che non ci sarà ritorno. Costringo le gambe che sento ormai di
piombo a salire la stretta scala che si inerpica a spirale verso il cielo con i suoi lisci gradini di marmo, butterati e consunti.
Da sotto echeggiano voci. Che mi cercano.
Loro sono dietro di me, inesorabili, sempre più vicini.
Non capiscono ciò che sta per succedere, né quello che ho fatto per loro! Terra ingrata!
Mentre salgo, le visioni mi colpiscono con forza: i corpi dei lussuriosi che si contorcono sotto la pioggia battente, le anime dei golosi che galleggiano negli escrementi, i traditori stretti nella morsa gelida di Lucifero.
Salgo gli ultimi gradini e arrivo in cima, barcollando come morto nell'aria umida del mattino. Mi precipito verso il
parapetto, che arriva all'altezza della testa, e sbircio attraverso le feritoie. Giù, in basso, c'è la città benedetta che ho eletto a mio rifugio per sottrarmi a coloro che mi hanno esiliato.
Dietro di me le voci gridano, ormai vicine: «Quello che hai fatto è una follia!».
La follia genera follia.
«Per amor di Dio!» urlano. «Devi dirci dove l'hai nascosto!»
È proprio per amore di Dio che non ve lo dirò. Sono in piedi, la schiena premuta contro la pietra fredda. Mi fissano, adesso, mi fissano negli occhi verdi e chiari, e la loro espressione si fa più dura: non mi pregano più, mi minacciano.
«Tu sai che abbiamo i nostri metodi. Possiamo costringerti a dirci dov'è.»
È per questo che mi sono arrampicato fin quasi in paradiso. Senza alcun preavviso, mi volto, alzo le braccia, artiglio la
sommità del parapetto con le dita e mi isso sul bordo, prima in ginocchio, poi in piedi… in equilibrio instabile davanti al
precipizio. Guidami, caro Virgilio, attraverso il vuoto.
Increduli, si lanciano in avanti. Vogliono afferrarmi per i piedi, ma temono di farmi perdere l'equilibrio e di farmi cadere.
Ora mi supplicano, in quieta disperazione, ma io ho già voltato la schiena. So cosa devo fare.
Sotto di me, vertiginosamente più in basso, i tetti di tegole rosse si estendono come un mare di fuoco fin nella campagna,
illuminando quella terra armoniosa su cui un tempo camminarono i giganti: Giotto, Donatello, Brunelleschi, Michelangelo, Botticelli.
Avvicino la punta dei piedi al bordo. «Scendi!» urlano. «Non è troppo tardi!»
Oh, cocciuti ignoranti! Non vedete il futuro? Non arrivate a comprendere lo splendore della mia creazione? A capirne la necessità? È con gioia che compio questo sacrificio definitivo, con il quale metterò fine alle vostre ultime speranze di trovare ciò che cercate. Non lo troverete mai in tempo.
Metri e metri più sotto, la piazza lastricata mi invita a sé come un'oasi di pace. Come vorrei avere altro tempo! Ma il tempo è una merce che neppure la mia enorme ricchezza può comprare. In questi ultimi secondi, guardo la piazza in basso e scorgo qualcosa che mi coglie completamente di sorpresa. Vedo il tuo viso.
Mi fissi dal basso, dall'ombra. I tuoi occhi hanno un'espressione mesta e tuttavia nel tuo sguardo percepisco una sorta di venerazione per ciò che ho realizzato. Capisci che non avevo scelta. Per amore dell'umanità, devo proteggere il mio
capolavoro.
Anche in questo momento, sta crescendo… in attesa… ribollendo adagio nelle acque rosso sangue della laguna che non riflette stelle.
Distolgo il mio sguardo dal tuo e contemplo l'orizzonte. Qui dall'alto, al di sopra di questo mondo oppresso dagli affanni,
elevo la mia ultima supplica. Mio Dio, fa' che il mondo ricordi il mio nome non come quello di un mostruoso peccatore, ma del salvatore glorioso che tu sai io sono. Prego affinché l'umanità comprenda il dono che lascio dietro di me.
Il mio dono è il futuro.
Il mio dono è la salvezza.
Il mio dono è l'Inferno.
Poi sussurro il mio ultimo amen. E faccio il mio estremo passo, nell'abisso.


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