Da sindacalista della Cgil, poi da ricercatore, professore di diritto del lavoro, avvocato, editorialista del «Corriere della Sera», e per qualche tratto anche come politico in Parlamento, Pietro Ichino ha spesso sostenuto tesi scomode per l'establishment, di sinistra e di destra, contribuendo in modo incisivo all'evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali e raccogliendo tanto consensi ed entusiasmo quanto critiche e contestazioni.
Per via delle sue proposte è stato accusato di eresia e addirittura di «intelligenza con il nemico», di essere cioè un portatore di idee liberiste infiltrato nel centrosinistra.
Attraverso un'avvincente inchiesta, un vero e proprio interrogatorio senza esclusione di colpi, Ichino risponde a tutte le obiezioni e le accuse ricevute in questi ultimi anni, messe in bocca a un immaginario interlocutoreinquisitore, affrontando i temi fondamentali del lavoro in Italia. E grazie ad analisi precise ed esempi concreti mette a nudo i meccanismi segreti di un sistema drammaticamente ingessato, prigioniero dei propri tabù e delle proprie caste.
Un paese in cui vige un regime di vero apartheid tra lavoratori protetti e non protetti, dove agli stabili regolari è riconosciuta una sorta di job property, mentre aglioutsiders e ai new entrants, ben che vada, si offrono soltanto i posti di serie B, C e D, con un futuro pensionistico misero, destinato a maturare soltanto dopo i settant'anni.
Un sistema chiuso da un tacito accordo protezionistico tra vecchia destra e vecchia sinistra, incapace di attrarre quegli investimenti stranieri che, invece, oggi costituiscono la sola opportunità per tornare a crescere.
In questo libro, che è anche un coraggioso manifesto per il futuro, Pietro Ichino delinea una serie di proposte semplici e incisive, dall'introduzione di un modello di flexsecurity di ispirazione scandinava a una vera e propria rivoluzione nel sistema delle relazioni industriali.
Un cambio del paradigma con cui guardare al mercato del lavoro. Una trasformazione necessaria per il paese, di cui né i sindacati né gli imprenditori né i politici né, soprattutto, i lavoratori devono avere paura.
Scritto da Vincenzo il 12/07/2020