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L’ambiente ideale per chi vuole diventare mamma e per il bambino non ancora nato
Cos'è l'utero materno se non la prima casa del nuovo membro della famiglia? Proprio a partire dal termine ecos ("casa"), il volume fornisce preziose indicazioni alle future mamme per conoscere i pericoli che possono esserci nelle abitudini alimentari, negli stili di vita e negli ambienti in cui viviamo. Non un libro di medicina ma un volume pratico e agevole per far conoscere, attraverso l'analisi dei vari fattori di rischio, come una vita sana possa portare giovamento anche al bimbo che sta arrivando.
Temi: fumo • alcol • cosmetici • pesticidi • sostanze stupefacenti • tinture e vernici • acqua • campi elettro-magnetici • inquinamento atmosferico.
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Prefazione. Un fertile scambio interdisciplinare di Enzo Tiezzi
Gravidanza ecologica
Un ambiente sano: un aiuto per concepire
Per capire bene
I primi passi
Insetticidi e plastiche
Fumo, alcol, droghe
Acque, smog, miniere e inceneritori
Cosmetici, lavanderie, apparati elettrici… ma anche lavori con calore o vibrazioni
Età della madre
La donna incinta: Rischi di un mondo inquinato
Insetticidi, tinture, vernici
Rischi legati alla fisiologia materna
Fecondazione: la fragilità di un nuovo viaggio
Comunicazione embrione-madre
Ambiente della fecondazione in vitro
L’influsso dell’ambiente sull’embrione: epigenetica
Dall’embrione in poi…
Cosa percepisce il feto
Tra madre al feto: placenta e utero
Possibili strade per l’arrivo di sostanze o stimoli pericolosi
Guai in vista per la mamma e per il figlio: Fumo, alcol, cannabis
Fumo
Alcol
Cannabis
Pesci e plastica
Primi passi tra i metalli pesanti: diffusi e nascosti
Piombo: vernici e smog
Arsenico: legname e pesticidi
Mercurio: pesci di alto mare
Ftalati: le plastiche morbide
Inquinamento aria
Acqua potabile
Radiazioni, ultrasuoni, campi elettromagnetici
Conclusione
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Maieutica
Socrate nacque dalla levatrice Fenarete e dal mestiere della mamma derivò l’arte della maieutica o “ostetricia spirituale”: «egli non sa procreare le verità, ma sa aiutare gli altri a metterle alla luce, con l’esercizio dialettico della domanda e della risposta», come si legge nella Treccani.
Danilo Dolci (1924-1997), nel suo La struttura maieutica e l’evolverci parte da Agostino d’Ippona (De Musica), da Francesco d’Assisi (Il Cantico delle Creature), da Tommaso da Celano (Vita seconda) e da Novalis (I discepoli di Sais) per introdurci all’uso quotidiano della maieutica e a una strategia evolutiva:
Non è possibile cambiare il mondo senza comprendere la sua natura. Tutte le scienze ora sono in crisi, con la riduttiva modernità, verso una profonda trasformazione. Non è più scienza un’economia che miri ad un profitto ignorando la misura dei costi ecologici. Così per ogni scienza nei riguardi di altre scienze. Non ci bastano i frammenti specifici ma isolati, i frammenti di una macchina.
Fra celesti catastrofi e catastrofi endogene, fra inevitabili stragi e il riesplorato rapporto fra caso e necessità, l’uomo la società e l’ambiente sono, possono essere, un organico sistema complesso?
Corpo e mente non sono separabili.
Rinunciare all’ipotesi Universo – sia pure tra biforcazioni e scelte – nega la struttura possibile, il rapporto fra ogni parte e l’insieme, il ripalpitare di nessi cosmici.
Comporre senza ammassare, necessita: dall’ordine sovrano concepire ordine connettivo-problematico, riorganizzando sedimenti e cumuli di scoperte, conoscenze isolate, verso un vedere interdisciplinare, unificante. Comunicare ora è necessario non solo tra persone, gruppi, popoli ma fra i laboratori più diversi, fra le più varie lingue ed esperienze.
Il mondo Creatura-di-creature ha occhi orecchie sensi che a miriadi occorre interconnettere destituendo le sclerotizzanti gerarchie. Lo strutturarsi comunicativo corrisponde alle necessità più profonde di ogni creatura.
Cartesio e Machiavelli, frantumando e riducendo col moderno macchinismo, provvisoriamente hanno vinto. Francesco, Leonardo, Gandhi, Einstein, Erickson come gli scienziati della complessità non trasgressori tendono a comporre unità.
I giovani avidamente intendono l’ardua scienza della complessità. Perché più semplice. Perché più vera.
Nel nuraghe e in grotte paleolitiche ci affascinano forme conquistate da un vederepiù semplice e avanzato, per molti versi, di quello moderno, quando l’artificiale ci nasconde l’insieme.
E ancora, citando Silvio Bergia:
Quanto apprendiamo dalla fenomenologia dei processi biologici ci fornisce una reale comprensione dei processi attraverso i quali il sistema nervoso mette in atto le sue capacità di riconoscimento, memorizzazione, elaborazione ecc. Caratteristica precipua dei sistemi complessi è l’emergere in essi di un’organizzazione non riconducibile a proprietà elementari dei costituendi […]. Già l’organizzazione si può considerare come un processo [anche] cognitivo […]. È come se l’universo [cercasse di] acquistare coscienza di sé. Il fenomeno vita si colloca al culmine del processo evolutivo e una sua analisi deve necessariamente trovare posto in una concezione dell’universo. È con la vita che l’universo può prendere coscienza di se stesso.
La Terra va vista non come una nostra proprietà da sfruttare, ma come un capitale naturale avuto in prestito dai nostri genitori per i nostri figli. La Terra viene da molto lontano, da 4500 milioni di anni di evoluzione. È una storia, quella dell’evoluzione biologica, complessa e meravigliosa, una storia di energia e di materia, di molecole e di cellule; una storia che ha dato luogo a forme viventi di grande diversità, vegetali ed animali, fino ad arrivare all’uomo.
Grazie al flusso continuo di energia solare e alla fotosintesi sulla superficie della Terra, la biosfera, sono nate e si sono moltiplicate numerose specie biologiche: questo è il capitale naturale che abbiamo avuto in prestito, un capitale di biodiversità fondamentale per il mantenimento della vita, perché tutto è connesso su questo pianeta. E ancora Dolci:
La strutura maieutica non è composta solamente di parole: comunicare integralmente implica le creature. Leggere fiori e alberi è primario, voli di uccelli e api, creature, acque, rocce, infiorescenze, nessi, in maieutico rapporto col mondo.
Una strategia evolutiva basata sulla bellezza, sulla potenza creativa della natura. È l’emergere di novità l’essenza stessa dell’evoluzione biologica, della vita. Aveva ragione Lucrezio: «Sic aliud ex alio numquam desistet oriri vitaque mancipio nulli datur, omnibus usu». Il sacro è nella materia, nelle sue strutture in co-evoluzione, proprio perché il tempo è nella materia. La biodiversità e la meravigliosa bellezza biologica giocano in favore di un disegno metafisico nell’evoluzione della vita. Lungi dall’essere in linea con l’ideologia del creazionismo, il riconoscimento di un disegno metafisico in natura è in linea con il punto di vista dell’evoluzione darwiniana, ma non con la sua deriva determinista, o meglio, in linea con il punto di vista di una “evoluzione senza fondamenti” nella quale libero arbitrio, scelte e caso giocano un intergioco complesso e meraviglioso. Tale punto di vista è altrettanto lontano dall’ideologia neo-darwiniana e positivista di una natura solo “caso e necessità”. Il dogma materialista e il dogma creazionista sono due facce della stessa stupidità scientifica.
Blue-print
Arsenico e vecchi merletti, così recitava il titolo di un vecchio famoso film: una storia di “simpatiche” vecchiette e di letali veleni. Oggi i veleni invadono le nostre tavole con i cibi transgenici, invadono gli oceani con i residui degli armamenti nucleari, invadono l’aria che respiriamo.
Il nucleare è stato, probabilmente, in questa fine secolo, la dimostrazione più eclatante di quanto sia idiota e pericoloso un certo modo di intendere la scienza: la folle ubriacatura di alcuni scienziati tecnocrati che credono che qualsiasi ricerca scientifica vada nella direzione dello sviluppo e del progresso, come se solo la corsa a scoprire di più fosse di per sé un bene. Queste persone ignorano che la scienza può portare a cose buonissime e a cose terribili, che lo scopo della ricerca è di trovare i modi per vivere meglio e in armonia con la natura, non quello di asservirla, manipolarla, distruggerla fino ad arrivare ai suoi gangli vitali. Ignorano, nella loro aberrante presunzione, la complessità e la fragilità della vita e usano, per lo più, scorciatoie riduzioniste, molecolari, meccaniciste per il loro approccio scientifico e, conseguentemente, metodi e strumenti in ultima analisi rozzi e semplicisti rispetto alla meravigliosa biodiversità della nostra storia evolutiva.
La tragedia del sommergibile nucleare Kursk è la metafora evidente di questa folle ubriacatura. Basti pensare al rischio legato al plutonio: il plutonio è un elemento che non esiste in natura, è infinitamente più tossico del cianuro (un milionesimo di grammo costituisce una dose letale), la sua radioattività ha una “vita media” di 24.000 anni, un chilo di plutonio disperso nell’ambiente rappresenta il potenziale per 18 miliardi di casi di cancro al polmone. In compenso la sua quotazione al mercato nero è molto elevata, molto più, per grammo, dell’oro e dell’eroina. La Società americana di Chimica ha denunciato che in Usa si sono già verificati 10.000 incidenti negli impianti nucleari, fra cui più di 300 calamità, 3 casi di collocazione di bombe, furti medi annuali di 45 kg di uranio e di 27 kg di plutonio.
Se il nucleare è stato l’esempio di un tale modo di intendere la scienza negli ultimi decenni del secolo trascorso e ha portato alle catastrofi di Chernobyl, di Three Miles Island e del Kursk; per questo secolo sono già scesi in pista, con la stessa mentalità della cieca fede nel progresso, gli apprendisti stregoni delle biotecnologie, dei cibi transgenici e della manipolazione dell’embrione umano.
Il minimo comune denominatore tra quelli dell’ingegneria nucleare e quelli dell’ingegneria genetica è rappresentato dal non tener conto del principio di precauzione, dal credere che la superspecializzazione sia sinonimo di conoscenza scientifica e dall’obbedire a diktat di dominio e di calcolo economico, ignorando i grandi valori etici ed estetici legati alla biodiversità, ai tempi biologici di una complessa, e in gran parte sconosciuta, storia co-evolutiva dell’uomo e del pianeta, alla sacralità della natura.
Hans Jonas, il grande filosofo di origine ebraica, ha individuato i punti fondamentali di «etica della responsabilità», per quanto riguarda l’ingegneria genetica.
Alla voce di Jonas fa eco Hans Magnus Enzensberger in Zig Zag:
mentre le vecchie avanguardie politiche e artistiche si sono ormai congedate, gli avventisti della tecnica, del tutto indifferenti di fronte alle catastrofi del XX secolo, si lasciano andare senza alcun ritegno ai loro sogni utopistici. Il loro isterico ottimismo non conosce limiti, neppure quello dell’autoconservazione. Le loro visioni, infatti, non mirano più al solo miglioramento della specie umana, bensì alla sua autodistruzione, e questo a vantaggio di prodotti che dovrebbero, così credono, essere di gran lunga superiori a ogni organismo vivente. Questo gaio masochismo ricorda i tempi in cui l’Atomium di Bruxelles pareva inaugurare un futuro radioso. Tuttavia i fondamentalisti della modernità non sono soli al mondo. Lontano da queste sette radicali si diffonde un senso di disagio. Non solo i perdenti nella sfida del progresso, ma anche i più accorti fra i funzionari del mondo economico guardano al processo della globalizzazione tecnica con sentimenti a dir poco contrastanti.
L’evoluzione biologica è creazione di biodiversità; la clonazione va esattamente nella direzione opposta. Laura Conti, molti anni fa, ci lasciò questa bellissima frase: «l’ingegneria genetica tradisce gli insegnamenti fondamentali che Darwin ricavò dall’osservazione dei viventi: infatti fa diminuire la variabilità genetica, alla quale Darwin attribuiva fondamentale importanza come serbatoio di possibilità evolutive, e quindi di possibilità di difesa contro le avversità ambientali». «La creatività – aggiunge Freeman Dyson – che si dispiega nelle complicate strutture quasi casuali è una forza motrice dell’evoluzione più importante della competizione darwiniana tra monadi replicantisi». L’uomo ha sempre agito sul fenotipo, non ha mai manipolato direttamente, fino ad oggi, il genotipo. Del resto Brooks e Wiley scrivono, correttamente, che ci sono milioni di specie di organismi e solo pochi modelli di macchine, perché gli organismi viventi portano dentro di sé il proprio blue-print e costantemente si riferiscono a esso, mentre il blue-print di una macchina sta sul tavolo dell’ingegnere progettista ed è uguale per tutte le macchine di quel tipo.
Come sottolineato dal palentologo Roberto Fondi:
la cellula differisce da tutti gli altri sistemi fisici per l’aumento di complessità inerente al suo sviluppo epigenetico, ciò è dovuto ad una serie di genesi successive, ciascuna delle quali responsabile della comparsa di nuove strutture e di nuove funzioni. Nessuna macchina o sistema fisico non vivente, infatti, è in grado di aumentare la sua complessità in un modo comparabile alla più semplice fra le cellule viventi. Ne deriva che l’informazione necessaria all’assemblaggio delle proteine, che il DNA si limita a copiare, non può che risultare dall’aumento di complessità del processo epigenetico.
Roberto Fondi aggiunge che è impossibile interpretare il mondo dei viventi come «mero assembramento di oggetti dominati dalla dialettica rigidamente deterministica del “caso” e della “necessità”».
Aggiunge ancora Fondi:
Com’è noto, una delle pietre miliari della scienza del XX secolo è stata la scoperta che nel DNA l’informazione genica, esattamente allo stesso modo in cui l’informazione di una parola è determinata dall’ordine lineare delle sue lettere, è determinata dall’ordine lineare dei suoi nucleotidi, ogni tripletta dei quali “richiama” uno specifico amminoacido da destinare alla composizione delle molecole proteiche. Rimane però il fatto che la funzione delle proteine dipende soltanto dalla disposizione tridimensionale dei loro amminoacidi; e poiché non possono sicuramente essere i geni a trasportare l’informazione necessaria all’assemblaggio delle proteine in tale spazio (sarebbe, in pratica, come se uno scrivesse su una strisciolina di carta la parola “albicocca” e poi pretendesse che la strisciolina si avvolgesse su se stessa e diventasse un’albicocca vera!), ne deriva che l’enorme quantità d’informazione necessaria a tale assemblaggio non può che risultare dall’aumento enorme di complessità inerente ad un processo di tipo epigenetico.
Un fertile scambio
Un medico, il neonatologo Carlo Bellieni, e una chimica, Nadia Marchettini, ordinario di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali, hanno cofirmato questo interessante manuale «per chi vuole diventare mamma e per il bambino non ancora nato».
Bellieni riversa in questo libro la sua importante e lunga esperienza nel campo. I rischi legati alla chimica e alla chimica-fisica si affacciano qua e là nella trattazione: dalle onde elettromagnetiche agli ultrasuoni, dall’inquinamento da metalli (piombo, mercurio) e da metalloidi (arsenico) agli ftalati, dal ruolo essenziale dell’aria da respirare a quello fondamentale dell’acqua potabile: un prezioso contributo per chi lavora in questo campo vitale della medicina.
Bellieni tiene il modulo di insegnamento di Ecologia prenatale, all’interno del corso di Chimica dell’Ambiente II, presso l’Università di Siena. Si tratta di un’importante apertura interdisciplinare per la laurea specialistica (magistrale) in Chimica per lo Sviluppo Sostenibile, che il sottoscritto presiede.
Enzo Tiezzi
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Scritto da Vincenzo il 12/07/2020