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La narrazione della vita dei santi spesso ha dato luogo a una letteratura agiografica e celebrativa, soprattutto laddove – come nel caso di don Bosco, Cafasso e Cottolengo – la santità incarna pienamente la povertà e la carità cristiana lascia dietro di sé imponenti e durature opere assistenziali.
Purtroppo la celebrazione della grandezza spesso assolve dall’impegno di comprenderne il significato e pertanto i valori e l’autenticità che quell’esperienza ha incarnati.
Con l’acutezza e il rigore che caratterizzano la riflessione di Sergio Quinzio, vengono qui rilette la vita e la spiritualità dei santi piemontesi vissuti sul finire dell’Ottocento, alla luce di alcuni fondamentali nodi problematici: il rapporto ambiguo tra le opere e la fede, tra la tensione progressista a livello di prassi pastorale per e accanto ai diseredati e l’incapacità di superare le aporie create inevitabilmente dall’alleanza tra trono e altare.
Il ritratto spirituale dei tre maggiori santi piemontesi consente all’autore di tratteggiare le caratteristiche di un’epoca e di un modello di santità cristiana fortemente situata nella mentalità ottocentesca, ma con cui l’esperienza di fede dei credenti di oggi, meno indomita e più incerta, deve confrontarsi per riscoprire le ragioni della sua identità e il permanere di stili e di modalità di espressione.
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Scritto da Vincenzo il 12/07/2020