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La Rete ha aperto la possibilità di una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e dello scambio di ogni tipo, ma nello stesso tempo ha scavato un divario tra chi è connesso e chi non lo è. Molte sono le questioni etiche che interpellano tutto il mondo delle professioni.

Le disuguaglianze digitali, il digital divide, ossia il divario e l’esclusione a livello globale nell’accesso alla Rete di fasce importanti di popolazione, è diventato oggetto di crescenti attenzioni, anche perché porta con sé nuove contraddizioni, come quelle di cui scrive Giuseppe De Rita quando evidenzia che l’accessibilità sempre piú diffusa a Internet, di fatto diminuisce la cultura del “riconoscere, ripensare, riflettere”. Come prima esisteva il rischio dell’analfabetismo, che era una forma di esclusione, ed era legato all’apprendimento di certi saperi, anche elementari, oggi, chi non riesce a creare dei collegamenti attraverso conoscenze di tipo informatico, tipiche della società dell’informazione, e soprattutto chi non si aggiorna continuamente, rischia effettivamente di essere un escluso nella nuova società delle reti.

Va evidenziato tuttavia che il digital divide se riguarda anzitutto le modalità per avere accesso a Internet, riguarda nello stesso tempo una duplice realtà: da una parte, è il motore di una libertà e, dall’altra, il produttore di una nuova disuguaglianza. Non sorprende allora che l’annuncio del potenziale di Internet come strumento di libertà, produttività e comunicazione proceda di pari passo con la rilevazione e la denuncia di un divario digitale indotto dalla disuguaglianza in ordine alle tecnologie informatiche. La Rete ha aperto la possibilità di una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e dello scambio di ogni tipo, ma nello stesso tempo ha scavato un divario tra chi è connesso e chi non lo è, senza dimenticare che sullo sfondo si è aperto anche uno scenario piú inquietante, perché i piú grandi provider internazionali, che hanno le chiavi di accesso, sono destinati a controllare sempre di piú la vita di ciascuno di noi.

L’universo delle professioni è stato trasversalmente toccato dalle tecnologie digitali. È difficile scovare una professione che non abbia dovuto misurarsi piú o meno direttamente con gli effetti positivi e negativi di tali tecnologie. Esse stanno trasformando ma anche cancellando alcune professioni, mentre ne stanno creando di nuove. L’etica delle professioni legate alle tecnologie informatiche pare articolarsi attorno a tre cardini: porsi al servizio di un accesso informato e critico, orientato all’inclusione; creare reti che promuovono sicurezza, riservatezza e sostenibilità; perseguire accordi sovranazionali che garantiscono una base comune di uniformità nei trattamenti e nelle garanzie. Lo scenario che prevarrà dipende dalle decisioni delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali, dai progetti promossi sia a livello locale che sovraterritoriale e, soprattutto, dalla collaborazione di tutti, condizione indispensabile perché il divario non diventi incolmabile.


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Internet è nata come improbabile intersezione tra Big Science, ricerca militare e cultura libertaria. Le maggiori università di ricerca e i centri di ricerca collegati alla difesa sono stati i cruciali punti d’incontro fra queste tre fonti di Internet. Forse, proprio queste tre fonti racchiudono anche la chiave delle diverse contraddizioni iscritte nel nostro rapporto con ciò che oggi Internet rappresenta. L’inizio del nuovo millennio ha vistosamente mostrato la portata dell’impatto delle nuove tecnologie della Rete non solo sulla struttura della società - economia, cultura e politica, prima di tutto - e sul nostro modo di vivere, ma sulla struttura stessa dell’uomo, sul nostro agire e sulle nostre aspettative e prospettive nel tempo, modificando anche le nostre esposizioni e narrazioni metastoriche.
Come ha mostrato Jeremy Rifkin, decisivo è il poter accedere alle tecnologie della Rete, che non sono solo un semplice mezzo ma un vero e proprio “mondo” (nel senso antropologico) del quale non abbiamo ancora colto e disegnato a sufficienza la natura della relazione tra noi ed esso, e soprattutto non abbiamo ancora sufficiente cognizione se noi influiamo su di esso piú di quanto esso influisce su di noi. Ma la questione ancora piú radicale consiste nel fatto che il mondo delle reti ha già avviato una trasformazione profonda della natura stessa della relazione in quanto tale, e non solo della relazione tra noi e la Rete, ma della relazione tra noi e gli altri, tra noi e la realtà, tra noi e i paradigmi della temporalità (passato, presente e futuro). Da prospettive molto differenti, scienziati sociali come Giddens, Putnam, Wellman, Beck, Carnoy e Castells, hanno sottolineato l’emergere di un nuovo sistema di relazioni sociali incentrato sull’individuo.
Dopo la transizione dalla predominanza delle relazioni primarie (rappresentate da famiglie e comunità) sulle relazioni secondarie (incarnate nelle associazioni), il nuovo modello dominante sembra essere costruito su quelle che potrebbero essere definite come relazioni terziarie, o quelle che Wellman chiama “comunità personalizzate”, incarnate su network io-centrati. Ciò rappresenta la privatizzazione della socialità. Il nuovo modello di socialità è dunque caratterizzato dall’individualismo in Rete che interroga in modo trasversale l’agire etico.
Le disuguaglianze digitali, il digital divide, ossia il divario e l’esclusione a livello globale nell’accesso alla Rete di fasce importanti di popolazione, è diventato oggetto di crescenti attenzioni, anche perché porta con sé nuove contraddizioni, come quelle di cui scrive Giuseppe De Rita quando evidenzia che l’accessibilità sempre piú diffusa a Internet, di fatto diminuisce la cultura del “riconoscere, ripensare, riflettere”. Come prima esisteva il rischio dell’analfabetismo, che era una forma di esclusione, ed era legato all’apprendimento di certi saperi, anche elementari, oggi, chi non riesce a creare dei collegamenti attraverso conoscenze di tipo informatico, tipiche della società dell’informazione, e soprattutto chi non si aggiorna continuamente, rischia effettivamente di essere un escluso nella nuova società delle reti.
Va evidenziato tuttavia che il digital divide se riguarda anzitutto le modalità per avere accesso a Internet, riguarda nello stesso tempo una duplice realtà: da una parte, è il motore di una libertà e, dall’altra, il produttore di una nuova disuguaglianza. Non sorprende allora che l’annuncio del potenziale di Internet come strumento di libertà, produttività e comunicazione proceda di pari passo con la rilevazione e la denuncia di un divario digitale indotto dalla disuguaglianza in ordine alle tecnologie informatiche. La Rete ha aperto la possibilità di una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e dello scambio di ogni tipo, ma nello stesso tempo ha scavato un divario tra chi è connesso e chi non lo è, senza dimenticare che sullo sfondo si è aperto anche uno scenario piú inquietante, perché i piú grandi provider internazionali, che hanno le chiavi di accesso, sono destinati a controllare sempre di piú la vita di ciascuno di noi.
L’universo delle professioni è stato trasversalmente toccato dalle tecnologie digitali. È difficile scovare una professione che non abbia dovuto misurarsi piú o meno direttamente con gli effetti positivi e negativi di tali tecnologie. Esse stanno trasformando ma anche cancellando alcune professioni, mentre ne stanno creando di nuove. L’etica delle professioni legate alle tecnologie informatiche pare articolarsi attorno a tre cardini: porsi al servizio di un accesso informato e critico, orientato all’inclusione; creare reti che promuovono sicurezza, riservatezza e sostenibilità; perseguire accordi sovranazionali che garantiscono una base comune di uniformità nei trattamenti e nelle garanzie. Lo scenario che prevarrà dipende dalle decisioni delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali, dai progetti promossi sia a livello locale che sovraterritoriale e, soprattutto, dalla collaborazione di tutti, condizione indispensabile perché il divario non diventi incolmabile.


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